Racconto di un cercatore di tarfufi.
La stagione dei tartufi è ormai passata, l’inverno si ritira, lasciando ancora dietro di sé il suo silenzio freddo, ma oggi, con questo sole di marzo, il Bosco Planiziale di Muzzana sembra quasi parlarmi.
In inverno, il bosco è la mia casa, il mio rifugio. Il freddo ci avvolge mentre andiamo in cerca di tartufi, il fiato si dissolve in nuvole leggere nell’aria gelida, e il cane scava con fervore, fiutando tra le radici congelate. Ma oggi è diverso. Il vento ha ripulito il cielo, e sebbene l’aria resti pungente, porta con sé il presagio sottile di una primavera che timidamente si annuncia. C’è qualcosa di unico: è il respiro della natura che si risveglia, ed io lo sento, come sempre, più intenso nel cuore del bosco.
Ogni passo su questo terreno intriso di storia mi ricorda la straordinaria resilienza della natura, capace di attraversare i secoli senza soccombere. Il Bosco Planiziale è un frammento di mondo in cui il tempo sembra scorrere con lentezza, preservando un’essenza intatta. Nonostante la frenesia della modernità che lo circonda, qui, nel silenzio solenne delle fronde, regna una pace assoluta. Gli alberi, ancora immersi nel torpore invernale, iniziano a schiudere timidi germogli, quasi sussurrando una risposta ai primi tepori di una nuova stagione in arrivo.
Oggi nell’aria c’è un profumo fresco e terroso che mi avvolge, un segnale discreto ma inconfondibile del risveglio del bosco. Sono le primule, timide eppure risolute, che sbocciano tra le radici degli alberi. Non saranno tartufi, certo, ma hanno un potere tutto loro. Intorno a me, le viole fanno capolino tra l’erba soffice, mentre le Anemonoides nemorosa sussurrano il loro bianco etereo. Più in là, le pervinche azzurre sembrano salutare il sole, che ogni giorno si fa più audace. E poi ancora crocus, campanelle bianche (Leucojum vernum), polmonaria officinale: un susseguirsi di fioriture che, settimana dopo settimana, trasforma il volto del bosco in un quadro sempre nuovo.
La natura qui, sembra raccontarmi una storia che conosce solo chi ha camminato abbastanza a lungo nei boschi. L’aria è fresca, c’è un borino che punge la pelle, eppure è una freschezza che non disturba, ma che ti fa sentire bene, come un abbraccio lieve, una carezza di primavera in anticipo. Lungo il sentiero, mi fermo per un attimo, chiudo gli occhi e ascolto. In queste zone più appartate, il silenzio del bosco è rotto solo dal gracidare dei rospi, il cinguettio degli uccelli, il tambureggiare dei picchi che con il lungo becco percuotono il tronco, dal fruscio delle foglie secche ed il suono sordo dei miei passi sull’umido del terreno. Le olle, quei piccoli bacini naturali che compaiono dove il terreno è più umido, sono luoghi misteriosi. Mi fermo a guardarle, a osservare la loro superficie che riflette il cielo.
Non è stagione di tartufi, ma questo non ha importanza. In questo angolo di bosco che ancora conserva la sua anima selvaggia, c’è tutto ciò di cui ho bisogno. Mi sento in sintonia con ogni singolo fiore, con ogni albero che ha appena abbozzato le sue gemme. La serenità che si respira è la stessa che trovo ogni inverno, mentre cerco. E oggi, mentre il bosco mi accoglie in questo inizio di primavera, mi basta camminare, respirare e sentire che tutto, alla fine, è esattamente come deve essere. Infatti i tartufi sono un pretesto per stare qui, per vivere il bosco nella sua bellezza
Chi ha il privilegio di percorrere questi sentieri, in un giorno come oggi, capisce subito che la natura non ha fretta. Ogni cosa accade al suo tempo, ogni fiore fiorisce quando è pronto, ogni albero fa nascere le sue gemme quando è il momento giusto. È una lezione di pazienza, una lezione che ci ricorda che anche nei giorni più freddi, come quelli che abbiamo appena lasciato alle spalle, c’è sempre un nuovo inizio che ci aspetta.